Giornalisti: dalla Cassazione il “no” al carcere

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(ANSA) – ROMA, 13 MAR – Niente carcere per i giornalisti quando commettono diffamazione, reato che deve essere punito – a meno che non ricorrano “circostanze eccezionali”, tipo “macchina del fango” – solo con una multa, come esige dall’Italia la Corte europea dei diritti umani. Lo chiede la Cassazione, con tutta la sua autorevolezza. Tra l’altro, la categoria – che deve poter svolgere liberamente il ruolo di “cane da guardia”, proseguono gli ermellini – è, in questo momento, “sotto attacco ingiustificato da parte di movimenti politici”. La mente corre al blog di Beppe Grillo che spesso ha inveito e aizzato contro i lavoratori dei media. L’esortazione alla magistratura è suffragata dal rilievo che il Parlamento intende riformare le sanzioni per gli illeciti professionali a mezzo stampa commessi tramite notizie infondate o, peggio, costruite a tavolino.

Sulla scia di questi principi di diritto – dai quali sono state tratte varie massime giurisprudenziali – la Suprema Corte, con la sentenza 12203 della Terza sezione penale (presidente Gennaro Marasca, relatore Grazia Lapalorcia) ha accolto il ricorso del direttore del quotidiano ‘La Voce di Romagna’ e di un cronista della stessa testata, che erano stati condannati a sei mesi di reclusione – sospesi dalla condizionale – per un articolo pubblicato l’11 marzo 2006. Si trattava di un pezzo nel quale si dava notizia di due militari, dei quali non veniva nemmeno fatto il nome, ma si fornivano solo le iniziali, indagati per furto ai danni di un commilitone dopo il ritrovamento nei loro armadietti di parte della refurtiva.

Invece pare si trattasse solo di “materiale di interesse per le indagini, poi non riconosciuto dal derubato”. Nonostante – come ha riconosciuto la Cassazione – non si fosse trattato di una diffamazione grave, il Tribunale di Cremona, nel novembre 2010, non ci era andato leggero condannando i giornalisti al carcere (non si conosce l’entità della pena di partenza) e al risarcimento delle parti lese. In appello, la Corte di Brescia, il 21 gennaio 2013, aveva ridimensionato la condanna portandola a sei mesi e aveva limato il risarcimento (anche questo di entità non specificata).

Su ricorso degli imputati, la Cassazione ha sconfessato i giudici di merito. “A contrastare l’applicabilità al caso di specie della pena detentiva, c’è l’orientamento della Corte Eu che – spiega il verdetto – esige la ricorrenza di circostanze eccezionali per l’irrogazione della più severa sanzione, sia pure condizionalmente sospesa”. “Altrimenti – prosegue l’Alta Corte – non sarebbe assicurato il ruolo di ‘cane da guardia’ dei giornalisti, il cui compito è comunicare informazioni su questioni di interesse generale e conseguentemente di assicurare il diritto del pubblico di riceverle”.

Infine, gli ‘ermellini’ osservano che non ricorrono gli estremi della gravità del fatto data anche la “cautela” usata scrivendo solo le iniziali dei militari e “così evitando di dare in pasto ai lettori il loro nome completo”. E non ha nessun peso la circostanza che, successivamente, il quotidiano romagnolo non abbia dato notizia dell’archiviazione dell’inchiesta sui militari in quanto si tratta di un fatto successivo “inidoneo a riverberare i propri effetti sulla valutazione dell’entità del fatto”. Ora un’altra sezione della Corte di Appello di Brescia, dovrà rideterminare – sotto forma di multa – la pena per gli imputati. Le statuizioni civili rimarranno invece invariate.

(di Margherita Nanetti)