Precariato: darwinismo sociale, il mito della selezione naturale

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news01 Qualcuno, a un certo punto, s’è inventato la storia della selezione naturale. Il miglior cronista è quello che sopravvive. Che resiste di fronte a compensi ridicoli, pagamenti che non arrivano, eterne promesse di contratti che non saranno mai firmati. La storia della selezione naturale è servita, in questi anni, a giustificare aziende vergognosamente inadempienti, direttori furbetti e “capi” incapaci di premiare il merito e di scommettere sui giovani migliori.

di Cesare Giuzzi – Corriere della Sera, Consigliere nazionale Casagit

Oggi il 90% delle notizie di cronaca che arrivano dalle agenzie di stampa (e finiscono rapidamente sui siti web) è merito di cronisti precari, non assunti, senza contratto o semplicemente pagati a pezzo: 8 euro lordi. Precari erano i cronisti che hanno dato la notizia della storica condanna di Berlusconi, precari quelli che hanno scritto della caduta della giunta Formigoni, precari i cronisti che ogni giorno lavorano per molte agenzie di stampa, giornali e televisioni in questura, a palazzo di giustizia, in Regione o in Comune. Alcune agenzie di stampa, addirittura, coprono cronaca nera, giudiziaria o politica solo ed esclusivamente con l’uso di precari o collaboratori a pezzo. La crisi e i prepensionamenti hanno prosciugato le redazioni, i cronisti sono stati richiamati a lavori di desk redazionale.

La questione non è di poco conto. Chi non ha una tutela contrattuale “seria”, non certamente quella garantita da contratti a partita iva o di collaborazione a pezzo, è certamente più vulnerabile, esposto a orari e prestazioni di lavoro massacranti, al rischio di non poter beneficiare di tutele legali di fronte a querele e diffide che sono uno strumento sempre più abusato per imbrigliare la libertà di stampa. Ecco, la libertà di stampa. Chi ne parla spesso non sa che questa libertà è garantita, a volte, quasi esclusivamente dai precari dell’informazione. Piccoli schiavi costretti a sperare nella sfortuna altrui per spuntare anche solo pochi mesi di contratto. Non è accettabile pensare che il solo criterio di valutazione del lavoro di un cronista precario arrivi dalla sua capacità di resistere a storture e abusi che niente hanno a che vedere con la professione. Insopportabili bugie travestite da opportunità.

pluri-newsLe colpe sono molte. Anche nostre perché nelle redazioni, alle prese con problemi ugualmente gravi, per molto tempo s’è preferito chiudere occhi e orecchie. Il meccanismo non funziona, non solo perché non premia il merito. Ma soprattutto perché le garanzie contrattuali servono, ad esempio, a non diventare passacarte di questa o quella procura, o ancora per evitare la presa in giro quotidiana di inquirenti che comunicano solo notizie “favorevoli”, diffondendo solo gli arresti e dimenticando i fatti per i quali manca ancora il nome del colpevole. Lo stesso vale per le pressioni che arrivano dagli uffici stampa di qualsiasi tipo e categoria che considerano i giovani cronisti come camerieri dell’informazione.

Il precariato è un male necessario, un’opportunità per valutare le capacità dei propri collaboratori? Resta comunque l’unico strumento per sperare un giorno in un posto all’interno di una redazione. Ma esiste un precariato buono? Quanto deve durare e con quali garanzie? E cosa può fare il sindacato di fronte a colleghi che vivono in un continuo limbo contrattuale?

Si può fare molto, magari scegliendo la strada che porti a un maggiore controllo, a contratti precari che non si rinnovino in eterno, allo studio di sistemi più chiari e tracciabili dei pagamenti. Chi firma un contratto di collaborazione con un grande gruppo editoriale spesso non riceve neppure informazioni su quali saranno i compensi relativi a questo o quell’articolo. Un controllo del sindacato su questi contratti, anche solo per verificarne la regolarità, potrebbe essere una delle proposte da inserire nel nuovo contratto. Il sindacato ha fatto molte proposte per risolvere il problema. Alcune hanno funzionato, non tutte. Non servono adunate di precari, né imbonitori che promettono soluzioni in tempi di elezioni. Serve un sindacato forte. E il sindacato è forte se la coscienza sindacale è forte, a partire dalle redazioni. È forte se i precari fanno parte del sindacato, se il voto dei precari non è solo un segnale di protesta. Non servono rivoluzioni impossibili. L’informazione ha bisogno di giornalisti, di cronisti capaci e tutelati. Non di un mestiere trasformato in reality dove vince l’ultimo che sopravvive.