Per essere giornalisti serve coraggio

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Ferruccio de Bortoli

Abbiamo corso il rischio, due mesi fa, di prendere la parte per il tutto e fermarci alla polemica sul tentativo del ministro Boschi di intercedere per la vendita di Banca Etruria a Unicredit. Così, prendendone un brandello, ci saremmo lasciati sfuggire il resto del volume di Ferruccio de Bortoli, Poteri forti (o quasi), dimenticandone il sottotitolo Memorie di oltre quarant’anni di giornalismo, edito da La Nave di Teseo nella collana I Fari e che consta di 336 pagine al costo di 19 euro.

Al contrario può essere letto tutto con altrettanto interesse, anche iniziando dalla parte finale, che ospita una galleria di diciotto ritratti, fra i quali gli amici di Stampa Democratica apprezzeranno in particolare quello di Walter Tobagi, già pubblicato sul Corriere della Sera nel 2010, a trent’anni dall’attentato terroristico di cui fu vittima per il suo coraggio di denunciare l’imbarbarimento della società italiana di allora.

Oppure, si può tenere il passato per ultimo e addentrarsi nelle considerazioni sulla categoria di cui l’ex direttore del Corriere e del Sole 24 Ore fa parte, che vede “tanti colleghi, bravi giornalisti, che scrivono per passione, remunerati con cifre insultanti o anche senza essere pagati”. Tutto questo senza “nostalgia della corporazione che sta morendo sotto il peso dei suoi difetti. Non mi piace l’Ordine dei giornalisti. Così com’è, è in pratica inutile. Ma trovo desolante questa proletarizzazione insulsa della professione, quest’epica dell’universalità della rete che trasforma i redattori in minatori del web, peraltro destinati a essere sostituiti non in piccola parte (succede già) da disciplinati algoritmi”. Parrebbe un declino ineluttabile e invece, “anche nell’era degli users generated contents il cronista che vede, spiega e interpreta è essenziale a una comunità che non voglia vivere solo di verità ufficiali, che voglia preservare il pluralismo, anche e soprattutto politico. I limiti possono e devono venire soprattutto dall’autodisciplina dei giornalisti, sui difetti dei quali mi sono già espresso. Le regole sono necessarie, come avviene nella carta stampata, dove la responsabilità di chi scrive è sempre rintracciabile. Il rispetto degli altri diritti soggettivi è sacrosanto. Il diritto all’oblio va, per esempio, in quella direzione. La lotta alla false verità potrebbe essere utilmente condotta – non da impraticabili enti di sorveglianza – ma con un diverso senso di responsabilità dei cosiddetti over the top”. E anche con una dose di coraggio e indipendenza dal pensiero unico, come quella che servì per pubblicare Oriana Fallaci dopo l’11 settembre 2001.

Andrea Morigi