Diffamazione: la riforma è ferma e la stampa è sotto tiro

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L’Italia con la libertà di stampa non è messa bene. Lo dicono tutte le classifiche internazionali, e soprattutto le sentenze della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

di Marco Volpati – Consigliere Nazionale Ordine. Ex Rai e Mediaset

I punti sono due: il carcere per la diffamazione, che ci accumuna ai paesi più arretrati, e i risarcimenti eccessivi che paralizzano il giornalismo d’inchiesta a tutto vantaggio di abusi, corruzione e mafie varie.

freedom_pressUna piccola riforma è stata votata alla Camera nel 2013; manca ancora il Senato, e se resta così è poca cosa. Cancella il carcere, ma non aiuta i giornalisti che inseguono la verità.

C’è in ballo la rettifica obbligatoria, che dovrebbe escludere la querela: tu hai scritto o detto, io rispondo alla pari, e tutto è ristabilito. Resta il dubbio: se chi rettifica dice il falso avrà lui l’ultima parola?

Ma il peggio sono le cause “temerarie”, promosse da chi ha molti soldi e pochi scrupoli. Più di tutto le azioni civili per danni. Richieste di milioni di risarcimento tappano la bocca a tutti, giornalisti e giornali: mirano uno per tacitarne cento.

Il Parlamento per ora balbetta, prevedendo penali tra i 10 mila e al massimo 60mila euro per chi ha fatto causa con intenti spudoratamente intimidatori: spiccioli per chi ha interessi cospicui e magari illeciti.

Strasburgo invece chiede tetti ai risarcimenti, proporzionati sia all’importanza della testata sia al reddito del giornalista, per scongiurare che una azione terroristica del querelante abbia successo. Meglio ancora sarebbe che chi chiede un milione di danni per un articolo rischiasse di pagarne la metà, o almeno un terzo, se ha torto marcio.

Nelle norme che si discutono a Roma ce n’è una che può piacere tutt’al più ai direttori, ma non alla totalità dei giornalisti: la possibilità che si deleghi la responsabilità legale a qualche vice o caporedattore. Creando dei capri espiatori costretti ad accettare “in grazia dell’impiego”.