Stampa Democratica ringrazia i colleghi per il voto Inpgi

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InpgiChiusa la campagna elettorale più urlata della storia del giornalismo italiano, c’è da riprendere subito il lavoro per l’INPGI.

Stampa Democratica è soddisfatta dell’esito del voto, e ringrazia tutti i colleghi che hanno sostenuto i suoi candidati: in tempi molto difficili per la popolarità di qualsiasi gestione, la demagogia ha conquistato qualche consenso, ma troppo pochi per stravolgere la vita del nostro istituto di previdenza. In particolare in Lombardia hanno prevalso nettamente i candidati di Stampa Democratica e dell’alleanza  “l’INPGI siamo noi”.

Soltanto nel comparto della rappresentanza dei pensionati ha fatto breccia un sentimento di sconforto e paura che non aveva fondamento nei fatti. Così alcuni candidati, come il nostro Giovanni Negri, hanno pagato per la loro lealtà e dedizione alla causa dei giornalisti tutti, attivi precari e pensionati.

Nel complesso del Consiglio generale il “tanto peggio tanto meglio” e le fantasmagoriche proposte in contraddizione tra loro (e quindi a somma zero), hanno avuto scarso spazio. Rammentiamo  le contraddizioni dei propagandisti del “tutto va male”: frenare pensionamenti anticipati, solidarietà e cassa integrazione (ma l’alternativa concreta erano i licenziamenti). Non togliere un centesimo dalle pensioni; anzi no, tagliarle nettamente per far spazio ai giovani. Cacciare dall’INPGI sindacato e FIEG (ma è la FNSI che ha contrattato l’aumento dei contributi che dà respiro all’Istituto). Vendere le case; anzi no, tenerle per non ridurre il patrimonio. Abbassare gli affitti; anzi no, alzarli per contribuire ai bilanci.

I problemi dell’INPGI esistono, e risalgono tutti alla crisi del settore e delle aziende. L’impegno collettivo di FNSI, INPGI, Ordine, Casagit, Fondo di previdenza complementare, deve convergere sul rilancio dell’occupazione. Slogan e chiacchiere stanno a zero.

Ultima notazione: il caso Sopaf non costa un euro ai bilanci dell’Istituto; su eventuali responsabilità dell’ex presidente c’è da attendere l’esito di un processo. Solo il tempo, che di solito è galantuomo, dirà come sono andate le cose.